Lorenzo Zamponi

Lorenzo Zamponi Future Forum Udine

Lorenzo Zamponi è assegnista di ricerca in sociologia e scienza politica presso l’Istituto di Scienze Umane e Sociali della Scuola Normale Superiore, a Firenze. Ha conseguito un dottorato di ricerca in scienze sociale e politiche presso l’Istituto Universitario Europeo. Si occupa principalmente di movimenti sociali, partecipazione politica e memoria collettiva. Ha pubblicato articoli peer-reviewed e saggi sulle forme contemporanee di mobilitazione e partecipazione.

 

Ricerca libera, ricerca utile: la generazione precaria e le basi materiali del lavoro universitario

Una generazione di precari sta tenendo in piedi l’università italiana. È possibile avere una ricerca davvero libera e utile sotto la pressione continua della ricerca di finanziamenti e del “publish or perish”?

Nel 2014, il corpo accademico dell’università italiana era composto per il 48,3% da docenti e ricercatori strutturati e per la restante parte da assegnisti di ricerca (17,4%), dottorandi (28,1%) e ricercatori a tempo determinato (6,2%). I precari, insomma, coprono già metà della ricerca universitaria italiana, e questa fetta è destinata ad aumentare. Del resto, dal 2008 al 2014, il Fondo di Finanziamento Ordinario delle università è diminuito di circa il 22%: oltre un miliardo di euro in termini assoluti. Si tratta di una peculiarità italiana, quella del disinvestimento sull’università, all’interno di una tendenza generale, quella della precarizzazione del lavoro accademico e della crescita tendenziale della dipendenza da finanziamenti non governativi (sostanzialmente UE, privati e rette studentesche).

Al di là delle comprensibili preoccupazioni per il futuro di chi lavora all’università, questa situazione pone degli interrogativi di interesse generale: può la ricerca essere libera, quando chi la porta avanti è in una condizione di dipendenza totale da chi gli assicura un finanziamento o un rinnovo di contratto? Può la ricerca essere di qualità, quando è fatta da persone che passano la maggior parte del proprio tempo a cercarsi il lavoro successivo? Può la ricerca rispondere a un criterio di utilità collettiva nei confronti della società, se dev’essere mirata a produrre più pubblicazioni, citazioni e nuovi finanziamenti possibile?

La questione di fondo è quella della compatibilità tra le condizioni materiali del lavoro universitario e il futuro della ricerca. Possiamo permetterci di continuare su questa strada, figlia dell’interazione tra la cultura gerontocratica e baronale che abbiamo ereditato e quella aziendalista e competitiva che è stata introdotta negli ultimi decenni? O forse è arrivato il momento di scegliere, invece, una cultura del lavoro di ricerca basata sulla cooperazione e l’innovazione?