di Francesca Gatti
L’innovazione di prodotto e di processo nell’agricoltura, settore che da sempre rappresenta valore aggiunto del nostro paese, possono diventare propulsore di cambiamento sociale e di sviluppo economico.
Secondo Luigi Corvo, professore di Public Management and Social Economy all’Università di Roma Tor Vergata, bisogna però trovare una via mediterranea all’innovazione nell’agricoltura senza guardare ai grandi modelli globali nati altrove come è successo con il fordismo industriale.
Lo sviluppo deve fare rima con sostenibilità ed è proprio qui che l’Italia può giocare la propria partita da vincente, perché per tradizione ha un’agricoltura fortemente integrata con il territorio e con forti relazioni di comunità. Parliamo di un tessuto di continuità tra produzione, cultura del luogo e specialità del prodotto che solo l’Italia possiede.
Innovazione nell’agricoltura significa anche circolarità secondo Corvo, ovvero non un processo verticale di produzione che genera scarti, ma un circolo virtuoso in cui il sottoprodotto si sfrutta creando simbiosi industriale tra settori che normalmente sarebbero lontanissimi.
Esempio perfetto è Orange Fiber, presentato dalla fondatrice dell’azienda Adriana Santanocito, il primo tessuto al mondo che nasce da un sottoprodotto agricolo, ovvero dalle bucce degli agrumi e che dopo la prima fase di start-up, pluripremiata nel mondo, è prodotto nel primo stabilimento in Sicilia.
Per scrivere il libro “I signori del cibo”, Stefano Liberti ha girato il mondo per riscostruire la filiera di 4 prodotti consumati in tutto il mondo (carne di maiale, soia, tonno in scatola, pomodoro concentrato). Quello che ha scoperto sono vere “aziende locusta” che hanno un approccio di tipo estrattivo e che trattano l’ambiente come se fosse un giacimento con l’obiettivo di massimizzare il profitto nel minor tempo possibile.
Il cibo così diventa una commodity, un prodotto che, esattamente come il petrolio, ha un valore uguale in tutto il mondo mentre la qualità e la rigenerazione dell’ambiente perdono ogni interesse d’impresa.
Come invece ha raccontato Luca D’Eusebio di Zappata Romana, l’esigenza di riappropriarsi del territorio e della natura è un bisogno sempre più sentito dalle comunità, in particolare nelle grandi città che, a partire proprio dalla capitale, vedono un fiorire di orti urbani e giardini condivisi costruiti su partecipazione, relazione, incontro tra generazioni, scambio di saperi e tradizioni.
Cristian Specogna delle Cantine Specogna ha portato la testimonianza di un giovane imprenditore agricolo con ottimismo e propositività: la strada da percorrere è quella di fare squadra tra produttori per vendere qualità, bellezza e cultura del nostro paese e dare un nome riconosciuto e valorizzato al territorio per poi promuoverlo, esattamente come hanno fatto in Francia in cui la localizzazione geografica, come Bordeaux e Champagne, viene prima del nome della cantina.