di Luciana Idelfonso
Un videomessaggio del presidente dell’Inps Tito Boeri ha aperto l’ultimo incontro dell’edizione 2017 del Future Forum della Camera di Commercio di Udine. Un intervento che ha fornito molteplici spunti agli ospiti Marco Luccisano, già capo della segreteria tecnica del Miur e fondatore del Progetto Rena, Giuseppe Bronzini, magistrato della Cassazione sezione lavoro, Guido Ferradini Vice Presidente AGI Toscana, Marco Bentivogli segretario generale Fim-Cisl e, in collegamento skype, Marco Leonardi professore di economia politica all’Università di Milano e consulente economico della Presidenza del consiglio, moderati dal direttore de Linkiesta Francesco Cancellato.
I posti di lavoro che saranno a disposizione nei prossimi anni, i cambiamenti tecnologici che dovremmo affrontare, la disoccupazione giovanile, la globalizzazione e la concorrenza a livello internazionale sui costi del lavoro, misure di sostegno al reddito e la formazione continua sono stati alcuni degli argomenti toccati da Tito Boeri nel suo messaggio, argomenti che hanno dato via al dibattito.
Il lavoro non sta finendo nel mondo secondo Luccisano ma quello che è cambiato è l’allocazione di valore sul lavoro in occidente, con un mismatch immediato tra i saperi che il sistema produce e la capacità di mettersi al lavoro.
Per i giovani c’è l’alternanza scuola – lavoro, recentemente applicata al sistema scolastico italiano, che non servirà per imparare un mestiere, ma per poter leggere il cambiamento della nostra società e del nostro mondo del lavoro.
Il dibattito si è spostato sull’argomento tutele, affrontato da Leonardi attraverso la riforma del job act e le politiche rivolte ai giovani, l’allargamento dei sussidi di disoccupazione e assistenza, la formazione continua, la ricollocazione delle politiche attive, il reddito universale alla povertà, le assicurazioni per i coco e partite iva.
Il Governo sta lavorando alla costruzione di un sistema di reddito di ultima istanza, una misura universale contro la povertà. Quest’anno abbiamo coperto solo 60 mila famiglie, nel 2017 saranno il doppio e nel 2018 saranno 400 mila.
Giuseppe Bronzini ha affrontato il tema del reddito di cittadinanza. Tutte queste misure rispondono ad una medesima esigenza secondo il magistrato della Corte di Cassazione: la dignità viene prima di tutto. Ci sono tre gruppi di prestazioni: la prima è quella che possiamo descrivere come sussidio di povertà, povertà assoluta che in Italia colpisce oltre il 10 % delle famiglie e gli si dà una prestazione minimale per affrontare delle situazioni emergenziali; poi c’è il reddito minimo garantito o reddito di cittadinanza disciplinato dall’Unione europea, misura al momento non ancora presente in Italia ma delineati già nel 1992 a garanzia dei cittadini europei. Ha diritto a un reddito minimo garantito chi vive al di sotto della soglia di esclusione sociale, cifra che in Italia si aggirerebbe sugli 8 mila euro. C’è infine il reddito di base, prestazione che spetta ad ogni cittadino, sia a persone ricche che in povertà e che al momento è garantito solo in Alaska.
Guido Ferradini invece ha analizzato l’aspetto sociale dell’impatto del lavoro affermando che creare massima flessibilità nel mercato del lavoro rischia di distruggere l’aspetto sociale: la persone pur di avere un’occupazione accettano di lavorare per più datori di lavoro, accettando paghe inadeguate. Una lotta contro il tempo che non permette la formazione, elemento indispensabile.
Per Bentivogli della Cisl il reddito di cittadinanza non è la soluzione. L’Italia ha 800 miliardi di spesa pubblica, ci sono pensionati sotto i 65 anni che ci costano 85 miliardi e lo squilibrio di oggi non è più nord-sud, ma tra i giovani e tutti gli altri. Per il sindacalista ci vuole il coraggio di fare riforme impopolari ma utili come per esempio la creazione di due enti: uno dedicato all’assistenza e uno alla previdenza.
Bentivogli ha parlato di welfare ricordando che in Italia ci sono delle famiglie in difficoltà ma che fra loro si celano molti evasori e della mancanza di tecnologia che in alcuni casi, come in Friuli, è stata nemica dell’occupazione come nel settore dell’elettrodomestico dove si è’ investito poco in innovazione.