La grande trasformazione è come un ciclone: quando ci sei in mezzo non te ne rendi conto. Ad affermarlo Marino Sinibaldi direttore Radio3 protagonista oggi dell’incontro “Dalla comunicazione di massa alla Grande trasformazione” assieme ad Andrea Camorrino dell’agenzia Proforma e al giornalista di Matrix Luca Telese.
«Nella nostra regione – ha ricordato Renato Quaglia, project manager di Future Forum – 40 ani fa una grande trasformazione nella comunicazione l’ha attuata il Messaggero Veneto divenuto punto di riferimento durante il sisma». Come ha poi evidenziato Sinibaldi «nel momento delle trasformazioni è difficile vedere la direzione o l’entità della trasformazione stessa.
Nel campo della comunicazione i caratteri della trasformazione sono la velocità e la pervasività. Nei secoli l’umanità ha comunque sempre saputo comunicare: oggi la capacità di allargamento ovvero la pervasività ha ancora elementi di diseguaglianza ma con una tendenza all’ampliamento inimmaginabile rispetto al passato. Per la rete telefonica – ha detto – ci sono voluti 126 anni per arrivare 1 miliardo di utenti, a Facebook sono bastati 8 anni. Questo è lo scenario». Nell’ambito della comunicazione la grande trasformazione passa dunque inevitabilmente per la digitalizzazione. «I nostri – ha aggiunto Sinibaldi – sono tempi complessi laddove una parte importante la gioca anche il narcisismo». Due esempi concreti, quello delle esternazioni di Sarri nei confronti di Mancini e quello di una malattia che ha intaccato gli ulivi del Salento, sono serviti a Camorrino per parlare del peso di razionalità e irrazionalità nel mestiere del comunicatore. Per Camorrino il comunicatore deve pensare anche e soprattutto «a come farsi capire da un auditorium totalmente irrazionale. L’Italia – ha detto – è la nazione con più analfabeti funzionali (47%) nel mondo ovvero coloro i quali non sanno mettere connessioni tra le cose.
Quando devo costruire un messaggio, uno su due non lo capirà. E spesso ci viene chiesto di spiegare cose difficili in 140 caratteri, un tweet. Chi fa il mio mestiere può pensare che c’è un’altra strada? E questa è cosa che appartiene alla classe dirigente del nostro paese». «Su questi temi – ha poi aggiunto Telese – rifletto con ossessività». Il noto giornalista ha usato Monanelli e Gheddafi come esempi. Per il primo, in particolare, l’episodio di una notizia assolutamente inventata dallo storico giornalista che nessuno poté confutare e nel secondo quel 20 ottobre 2011 quando il video girato da un ragazzino sulle sevizie fatte sul corpo del leader libico fece in pochi minuti il giro del mondo, sui social prima e sui grandi media poi. «Esempi – ha aggiunto – che mostrano il profondo cambio del nostro lavoro. Il mestiere prima era dare la notizia, adesso la notizia arriva prima di te ed è il bravo giornalista che sa interpretare la notizia. La medialità pervasiva, istantanea, ci ha superato».